In un momento in cui siamo di nuovo a parlare della violenza sulle donne, condivido la storia di un popolo sopravvissuto al genocidio, in cui soprattutto le donne, con il loro attuale modo di vestire,
mettono in atto costantemente la loro rivalsa e resistenza all’oblio.
Gli Herero (insieme agli Himba) si trasferirono nell’attuale Namibia e Botswana durante la più ampia migrazione di popoli di lingua bantu dall’Africa orientale diverse centinaia di anni fa. Circa 150 anni fa, cominciarono a dividersi e il grande gruppo che oggi conosciamo come Herero si spostò verso sud; gli antenati degli attuali Himba rimasero a nord.
Mentre oggi gli Himba continuano a vivere la vita nomade che hanno condotto per secoli
gli Herero si stabilirono e prosperarono come allevatori di bestiame
nelle praterie centrali della Namibia. Qui entrarono in conflitto con il popolo Nama che migrava verso nord, ma poi, con l’arrivo dei coloni tedeschi, si dovettero alleare per contrastare l’invasore tedesco.
Dopo la battaglia di Waterberg nell’agosto 1904, nonostante gli Herero cercassero la pace con i coloni, i tentativi tedeschi di sterminare gli Herero continuarono in quella che gli storici hanno etichettato come una delle guerre coloniali più sanguinose.
Si stima che in tre anni la popolazione Herero sia stata ridotta da 80.000 a 15.000.
Durante la prima guerra mondiale la Germania perse la colonia. Nel 1915, infatti, il Sudafrica prese il controllo della Namibia, ma la situazione non migliorò. Gli Herero furono spinti in un’area della Namibia, governata in stile sudafricano. Oggi la popolazione Herero è stimata in 100.000, circa il 7% della popolazione totale della Namibia.
Per tutto il periodo di invasione, gli Herero subirono l’influenza dei missionari tedeschi
che si opposero a quella che consideravano l’immodestia dell’abito tradizionale Herero, o la mancanza di vestiti (era simile a quello che vediamo oggi con gli Himba).
Le donne Herero alla fine adottarono lo stile di abbigliamento che le rende così distintive oggi. Gli uomini, invece, non si distinguono per il loro modo di vestire; mi è stato detto, però, che per le occasioni speciali gli uomini Herero indossano un abito elaborato che ricorda le uniformi militari tedesche del XIX secolo.
L’abito delle donne Herero, cade fino alle caviglie.
Comprende maniche lunghe e un corpetto che si abbottona vicino al collo.
Oltre a questo, molte donne indossano anche uno scialle.
Sotto il vestito (così mi è stato detto) le donne indossano da sei a otto sottogonne per aggiungere pienezza…
sebbene questa risulta essere la versione ufficiale, ci sono almeno un altro paio di spiegazioni…
Qualcuno sostiene che questo modo di vestire fu intrapreso per cercare di disincentivare o quanto meno contenere, i tentativi di stupri che i coloni infliggevano a queste donne inermi.
Altri, lo spiegano così: “in Africa, il cacciatore indossa la pelle dell’animale che ha ucciso, così come il soldato si impossessa dell’uniforme del nemico. E’ una prova della sua vittoria. Dopo il genocidio, l’uniforme e l’abito lungo sono diventati l’identità di questo popolo”.
Come cappello, le donne Herero indossano un copricapo dalla forma unica
che si dice assomigli (e renda omaggio) alle corna del loro bestiame.
Sebbene l’influenza dei missionari sia certamente diminuita nella moderna Namibia,
le donne Herero sono ancora viste indossare con orgoglio questo elaborato costume nelle zone rurali del paese e nel centro di Windhoek, la capitale.
Anche se ho visitato la Namibia nei mesi Ottobre-Novembre, le temperature durante il giorno hanno comunque raggiunto i 40 gradi. Nonostante l’enorme volume di stoffa che indossavano dal collo al polso fino alla caviglia, le donne Herero non sembravano mai surriscaldate.
Dai missionari gli Herero impararono anche il loro attuale stile di costruzione della casa.
A differenza degli Himba, che mantengono il loro stile ancestrale di capanne a cupola o coniche, gli Herero costruiscono strutture più grandi con un tetto a punta e una porta rettangolare. Approfondirò questo argomento in un altro articolo.
Estratto dell’ultimo viaggio in Namibia – video di Francesco Ciccotti
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