Sono cresciuto amando Sailing Alone Around the World di Joshua Slocum. Sulla cinquantina, proiettatosi sulla roulette russa dal destino, aprendosi ai numerosi rischi che portava in se l’ardua impresa, partì con una barca a vela di 36 piedi in gran parte auto-costruita e riuscì in qualche modo a circumnavigare la terra.
Sarebbe dovuto stare senza equipaggio, ma non era del tutto solo, aveva la magica compagnia di una barca che poteva timonare per centinaia di miglia nell’Oceano e della sua cabina piena di libri, dove si adagiava contento mangiando baccalà e leggendo “Don Chisciotte”.
Per un adolescente senza sbocco sul mare che aveva ambizioni nautiche e letterarie, Slocum era quasi troppo bello per essere vero.
Da lì in avanti, feci altre letture che furono la mia ispirazione e passai alcuni anni in riva al mare, o al massimo a poche centinaia di metri dalla battigia, praticando windsurf per alcuni mesi all’anno. Utilizzavo un camper che mi permetteva di vivere la spiaggia per tutto il giorno e anche la notte; visto che feci fare una modifica sulla parete lato mare, istallando una finestra, che tenevo quasi sempre aperta per ascoltare il “rumore” del mare che stava lì a pochi passi da me.
Solo dopo queste esperienze di mare, di campeggio libero e sport d’acqua, ho comperato la mia prima barca a vela, uno sloop di 12 metri che mi ha portato dalla riva al largo. Un First 40.7 che il precedente proprietario, aveva acquistato nuovo soltanto un anno e mezzo prima.
Dopo 3 anni di veleggiate costiere e traversate nel Mediterraneo, ho sentito l’esigenza di passare ad una barca più grande e più confortevole. Un Wauquiez Centurion di 45 piedi con la quale sono entrato in perfetta simbiosi e sintonia dal primo momento che l’ho scoperta al Salone Nautico di Parigi 16 anni fa.
E’ stata una folgorazione, un amore a prima vista. Per settimane ho cercato il nome più appropriato da dargli. Un nome che avrebbe potuto rappresentare al meglio la mia filosofia di vita, di vivere in armonia con la natura, di dare un senso alla vita, di vivere con semplicità. Il nome più appropriato non poteva che essere WABI-SABI.
Ho passato anni a fare traversate in tutto il Tirreno in compagnia di uno o più membri di equipaggio. Solo questa ultima estate, per la prima volta, ho dato vita al sogno che rincorrevo da quelle letture da ragazzo.
Ho navigato in solitario per c/a 150 miglia, dal Nord della Sardegna fino alla Marina di Nettuno.
Sono state 24 ore vissute magnificamente in una altalenanza tra pace e adrenalina, una condizione così nuova, insolita, eccitante…
E’ passato qualche mese da quella straordinaria esperienza. Avrei voluto scrivere immediatamente tutte le sensazioni che ho provato in quelle ore lì da solo in mezzo al mare; ma avevo una tale confusione e a dire il vero anche una certa stanchezza, che nell’immediato non sono riuscito a metterle per iscritto.
A dirla tutta, avevo anche pensato che se l’avessi prima elaborata mentalmente, con calma, poi sarei forse riuscito a chiarirmi meglio le sensazioni di quei momenti vissuti. Ora non sono sicuro che tali emozioni sia capace di spiegarle razionalmente, ma ho la certezza che affrontare una traversata da soli, così come fare un qualsiasi viaggio estremo in solitaria, è un modo per entrare profondamente in contatto con se stessi. Una circostanza che ti avvicina all’onnipotenza, ad un senso di piena libertà, che ti porta fuori dal tempo in una dimensione onirica…
La cosa di cui ora ho consapevolezza, pur essendo io caratterialmente propenso alla condivisione delle esperienze, soprattutto se estreme e con un certo grado di rischio, è che ho una smisurata voglia di rivivere quella Avventura. Quel tipo di condizione umana impegnativa e solitaria difronte a spazi il cui orizzonte è aperto, lontano e apparentemente infinito.
Grande Francesco !!!!!
Grazie Fabio, tu sicuramente comprendi cosa si prova in tali situazioni…