ALLA RICERCA DI UN MONDO…non del tutto PERDUTO…

ALLA RICERCA DI UN MONDO…non del tutto PERDUTO…

Incontrare persone, cercare un contatto sincero…

sentire, toccare, vedere, comunicare nel senso di entrare in comunione è quello che desideriamo di più quando ci relazioniamo con gli altri e quindi anche quando viaggiamo, ma che allo stesso tempo, ci spaventa o ci è reso difficile, per vari motivi.

Qualsiasi sia il Paese che andiamo a visitare, l’argomento della conversazione o del contesto di relazione in cui ci troviamo, cerchiamo – che ne siamo consapevoli o meno – il “contatto umano”… in qualsiasi forma, in qualsiasi modo, purché sia un vero contatto un sentire veramente e profondamente l’altro.

La nostra instancabile curiosità di viaggiatori ci dà il permesso di entrare nella sfera d’influenza dell’altro.

Aprirci, diventare per scelta un pò più vulnerabili, un pò più morbidi anche con noi stessi, ci rende fratelli, più simili.

Ci fa sentire di appartenere, ci fa sentire un pò meno soli e meno isolati…

Appartenere tutti allo stesso mondo, che ha abitudini e costumi diversi, ma che ci rende sempre molto simili per le principali esigenze e bisogni terreni.

Incontrare persone dalle sembianze così diverse, è sempre una grande sfida rivolta alle nostre abitudini e ai nostri condizionamenti, paure e pregiudizi…

e nonostante la nostra enorme curiosità verso “l’altro”, siamo comunque, troppo spesso pronti a boicottare i sentimenti che proviamo, razionalizzando motivazioni e giustificazioni che non fanno altro che fare il gioco del nostro incontenibile: “ego”.

Cercare il contatto, però, è e rimarrà sempre un bisogno umano, un desiderio verso il manifestare l’amore puro, l’amicizia e la fratellanza; un qualcosa di pulito, di onesto, di vero.

Aprirsi…e lasciar entrare la brezza della vita, è nutrimento…perché non si vive di solo cibo.

Attraverso la “comunione” nutriamo il nostro essere e quello delle persone incontrate.

Se guardiamo alla vita in generale, osserveremo che in natura ogni sistema è “permeabile” – un sistema “aperto – ed allora, sopravvive, matura e costantemente evolve. Un sistema biologico in evoluzione è sempre intelligente, che significa adattabile, aperto alla comunicazione, di qualsiasi forma si tratti, adatto agli scambi…alla crescita.

Quando viaggiamo, oltre ad esplorare luoghi, paesaggi, natura, arte, bellezza in generale…

ciò che ci colpisce con profondità, sono le “relazioni umane”

Humans - ph. Francesco Ciccotti

Humans – ph. Francesco Ciccotti

…in questo mondo sempre più superficiale, da toccata e fuga, dove non ci diamo il tempo neppure di sentire un profumo, di percepire un suono, una musica, di gustare coscientemente un sapore, di vivere pienamente e di godere pienamente della sensualità di uno sguardo, la profondità di una parola, oppure, la delicata e allo stesso tempo intensa sensazione di una stretta di mano sono un contatto che la dice lunga su chi abbiamo di fronte.

Viviamo nell’era del “consumismo sensoriale” usa e getta…tutto deve essere consumato in fretta, per poi passare ad altro…questo ci viene insegnato viaggiando sui social, navigando da una pubblicazione all’altra, da una pagina web all’altra…da un’App all’altra…

ma fermiamoci un attimo, prendiamoci una pausa, facciamo un grosso respiro

…non usiamo male il tempo che abbiamo a disposizione e quello che ci rimane…non procediamo per modelli imitativi senza valutare se sono giusti o errati…guardiamo il mondo intorno a noi “in diretta” e non attraverso un monitor…allarghiamo lo spazio di conoscenza “diretta” e possiamo sperimentare un altro livello di realtà, più vasto e libero.

Ritroviamo i nostri ritmi interiori dove il sapore dell’essere è più dolce del sapore dell’apparire.

Le mie esperienze di viaggiatore, mi permettono di entrare in contatto con le persone e con la loro essenza…la mia anima da fotografo, mi permette di farli diventare spesso soggetti dei miei scatti.

In questo modo riesco a pieno a vivere la comunione con l’altro e al contempo, portarmi a casa la testimonianza di ciò che abbiamo condiviso.

Dalla Polonia al Kilimangiaro

Dalla Polonia al Kilimangiaro

Oggi tornerò a parlare di Kilimangiaro

ma non della trasmissione televisiva in onda tutte le Domeniche su RAI3… Voglio condividere una storia di vita e di avventura che inizia in Polonia e si conclude sul Kilimangiaro, una storia trovata sul web e di cui non conosco l’autore.

Questa storia, per dinamica, somiglia ad altre storie, ma i fattori che differenziano una dall’altra, sono molteplici ed uno più di tutti, credo sia da trovare nelle motivazioni che spingono un uomo ad affrontare tali imprese.

Si dice che in ognuno di noi convivano due persone: la persona che siamo, e la persona che siamo destinati ad essere.

 

Ci sono persone destinate 

A volte, in alcuni uomini, la persona che siamo, e la persona che siamo destinati ad essere, si incontrano…e quegli uomini si riconciliano con il loro destino. 

Li riconosci subito, i riconciliati: hanno la luce negli occhi.

Possono essere artigiani, avventurieri, preti, rivoluzionari, poeti, missionari, contadini, insegnanti. Possono vivere vite ordinarie o completamente fuori dal comune; possono essere lontanissimi o vicini a noi. Ma quando li vedi, li individui immediatamente: sono in pace con se stessi e con l’universo, emanano serenità ed energia, e non ti stancheresti mai di stargli vicino.

 

Ho avuto la fortuna di conoscerne qualcuno, di altri ho letto le storie.

E sono tutte storie che hanno un tratto comune: i loro protagonisti ad un certo punto della loro vita hanno capito qual era la loro strada, ed hanno avuto il coraggio di seguirla. E la “loro” strada non era mai la più conveniente, o la più comoda, o quella che faceva felici i genitori, o che si accordava con quello che voleva la società o il “pensiero comune”. Non necessariamente era la strada “giusta”, ma sicuramente era la “loro”.

Le loro storie vanno raccontate, perché ci aiutano a capire che non è mai troppo tardi per seguire la propria strada, e riconciliarsi col proprio destino.

 

Prendiamo ad esempio la storia di Aleksander Doba, detto Olek.

Olek era un ingegnere polacco, con un buon impiego presso un’azienda. 

Un giorno dei primi di marzo del 1989, quando aveva quarantatre anni, un suo amico -chiamiamolo Prestnek– lo invita a fare un giro in Kayak sul lago. Mentre voga per la prima volta su quel lago Polacco, Olek  prova  qualcosa. Si sente bene, forse come non lo era mai stato. 

Per lui è come una folgorazione.

La sera nel letto non riesce a dormire: ripensa alla giornata al lago, alla sensazione di libertà e di completezza che provava mentre vogava. Gli sembra di sentire gli schizzi, i profumi, ed il rumore della pagaia mentre entra nell’acqua del lago. E pensa che il Kayak si presta bene ad avventure ben più lunghe di un giorno: pensa circumnavigazioni del lago campeggiando lungo le sponde, e all’attraversamento della Polonia lungo i fiumi, e poi il mare. E l’Oceano, l’ Oceano sterminato.

 

Pensa alle infinite potenzialità e sente un brivido. E quella notte di certo non dorme, in preda ad una specie di vertigine.

La settimana successiva la vive come in trance, con in testa un pensiero fisso, finché finalmente arriva il Venerdi pomeriggio, e corre a comprasi il suo primo Kayak e trascorre il week end successivo a pagaiare sul lago, sognando ben altri tragitti.

Così organizza il Kayak con una sacca impermeabile in cui include la sua tenda e dei generi di sopravvivenza, e la successive vacanze di Pasqua dell’aprile del 1989 attraversa tutta la Polonia da Przemyśl a Świnoujście, vogando per 1189 Km in 13 giorni: e da quel momento comincia la sua vita.

 

Da aprile del 1989 in poi Olek non si è più fermato, coprendo col suo Kayak distanze sempre più lunghe: fiumi, laghi, il mare del nord, record dopo record la sua vita si lega indissolubilmente alle sue avventure col kayak. Lascia il lavoro, trova sponsor, progetta una speciale imbarcazione e nel 2010, a sessantaquattro anni compiuti, parte dalla costa africana per la sua avventura più grande: attraversare l’Oceano a remi, in solitaria.

Arriverà in Brasile 98 giorni dopo, più magro di 16 chili, ustionato dal sole ed irritato dal sale, senza più unghie né alle mani né ai piedi. Ma felice come un bambino.

Ne ha percorse di miglia Olek a partire da quel marzo del 1989 quando ha dato il suo primo colpo di pagaia sul Kayak dell’amico Prestnek, ormai ha 64 anni e con immensi sacrifici fisici e mentali ha attraversato l’Oceano. Se fosse stato uno che doveva dimostrare qualcosa, si sarebbe potuto  tranquillamente fermare lì: l’obiettivo era indubbiamente raggiunto.

Ma Olek non doveva dimostrare niente a nessuno. Semplicemente quella era la sua strada, quella era la vita che lo faceva stare bene.

 

Così organizza un’altra spedizione transoceanica, e se la prima volta ha passato l’Atlantico nel tratto più corto (Africa-Brasile), tre anni dopo, a SESSANTASETTE ANNI, lo affronta sulla rotta lunga, da Lisbona alla Florida. In navigazione affronterà le onde dell’oceano, le tempeste, le avarie dei sistemi di comunicazione, la rottura del timone, incontrerà balene, rifiuterà con gentilezza le cime lanciate dagli increduli marinai di un Cargo che lo avevano incrociato casualmente in mezzo al nulla, in quello che indubbiamente è uno dei più improbabili incontri in mare mai verificatisi.

E alla fine di tutto questo Olek raggiungerà la Florida, completamente stremato, dopo 141 giorni passati a remare da solo sull’Oceano.

E senza quell’oceano proprio non ci sapeva stare, tanto che l’ha attraversato ancora, sempre a remi e in solitaria, all’età di 71 anni.

Poi a 74 anni suonati, Olek ha sentito che doveva vivere una nuova avventura,

questa volta sulle montagne: così ha organizzato una spedizione per raggiungere la vetta del Kilimanjaro, la montagna più alta del continente Africano.

I testimoni raccontano che giunti in cima, prima di fare le foto di rito, Olak si è fermato un attimo per riposarsi e si è seduto su un masso con un sorriso beato; e ha chiuso gli occhi, per non riaprirli mai più.

Pare che quando si muore si compia il passo supremo, e ci si ricongiunga con l’Universo.

Ma quando muoiono gli uomini come Olek, il passo è un po’ più breve, forse meno traumatico: loro sono riconciliati con se stessi, sono quello che sono nati per essere, e sono già tutt’uno con l’Universo.

E noi che siamo qui a guardarli, o a leggere le loro storie, resta la speranza di poter trovare un giorno anche noi la nostra strada. E di avere il coraggio di percorrerla fino in fondo.

Sarà dura, ma il premio sono due occhi pieni di luce.

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