Jules Verne scriveva:
“Il mare è un immenso deserto dove l’uomo non è mai solo, perchè sente fremere la vita ai suoi fianchi.”
Sahara – video di Francesco Ciccotti
Ed io potrei aggiungere…
che è così anche per il deserto…che è un immenso mare di sabbia dove l’uomo non è mai solo, perchè sente fremere la vita oltre le dune.
Mare e deserto, hanno molte similitudini…sono entrambi spazi enormi, diffusi e nel contempo i meno popolati dall’uomo; hanno entrambi gli orizzonti che appaiono infiniti; dune e onde sono molto simili per forma ed andamento; sono luoghi dove il vento ne condiziona la forma e la disposizione; di notte è possibile osservare il cielo stellato senza ostacoli ne inquinamento luminoso; mare e deserto sono luoghi dove le dune somigliano alle onde e le oasi ai porti.
Il mare e il deserto sono luoghi di sovrapposizioni ideali e semantiche per ciò che evocano sul piano delle idee e delle rappresentazioni. Forse non ci sono elementi della natura più densi di significati simbolici, con parallelismi e connessioni pur nella loro apparente contraddizione. Da una riva all’altra, l’acqua e la sabbia uniscono gli uomini, mescolano le lingue, mischiano oggetti e simboli, contaminano culture e civiltà. Mare e deserto, infatti, sono stati ponte di comunicazione, veicolo di traffici materiali e di scambi culturali, teatro di incursioni piratesche e di razzie, di vicende commerciali di trasgressioni individuali e collettive, come la tratta degli schiavi, di rocambolesche storie di uomini sempre alla ricerca della giusta direzione.
Danno emozioni forti, stimolano l’avventura e danno adrenalina quando ci si trova in mezzo, ma sono anche luoghi che danno un grande senso di pace e di libertà e mettono in profondo contatto con se stessi.
Potremmo dire che sia il mare che il deserto, non sono soltanto luoghi fisici, ma stati mentali.
In questa riflessione tra Mare e Deserto condivido una bellissima Poesia di Franca Pistellato:
Tumbleweed (varianti di rena)
Rena
di sabbie mutanti.
Tra mare e deserto
s’arroventa il silenzio.
Salsola Kali
rapita dal vento
singhiozza ballando.
Groviglio d’ossa cave
ché il midollo ha risucchiato
il sale amaro.
Filigranata
Morte
Terrena.
Carena
di nave che si incaglia
cava
stanca
a rinsecchirsi a riva.
D’altra era geologica attendendo
l’onda che la sposti.
Ti danza davanti
l’ombelico bagnato
dell’odalisca.
Capelli al patchouli
attaccati alla bocca
che non morderai.
Sirena.
Flautata cavità di gola.
Anfratto salmastro
che di fiato e umori
ti sarebbe grembo.
Fata Morgana
che dell’arsura
è la beffa.
Arena.
Dyngos sollevano polvere
latrando.
Canini luccicanti di bava
Memoria vischiosa
Di pasti caldi.
Vulve nascoste
di donne tuareg
spiate soltanto.
Capillari di lava.
Matassa pulsante
di fame randagia
che arpionare vorrebbe
la terra grassa
per sbranarne
la sorgente.
– Frena
la sete
il cervello –
Fino ad allora
mi rotolerà
tra i denti e la lingua
un bacio raffermo.
Né vivo né morto.
Arenato.
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